Il Poeta del Legno
Mauro Corona
Scultore, scrittore, poeta. Una vita dedicata all’arte e all’osservazione degli uomini.
Mauro Corona è uno spirito libero che inizia a manifestare la sua creatività prima di tutto attraverso la scultura. La passione per l’intaglio del legno gli deriva dal nonno paterno Felice, che l’autore considera il suo primo “maestro d’arte”. Nella vecchia Erto, come in tutti i paesi di montagna di un tempo, l’antico sapere veniva tramandato di padre in figlio, o grazie ai nonni.
«Mio nonno Felice era un uomo alto quasi due metri, con un volto bellissimo, che pareva un Gesù Cristo. Per me e i miei fratelli era più di un padre. Era un uomo affettuoso ma anche severo. Da bambino mi ha insegnato a intagliare il legno, a cacciare le rane, a tirare con la fionda. Odiava gli sprechi. Se durante la caccia delle rane ne prendevo una in più, erano botte. È stato investito e ucciso da un pirata della strada, durante uno dei suoi peregrinaggi per vendere gli utensili che intagliava. Per me è stata una perdita inconsolabile».
Proprio Felice iniziò un Mauro Corona ancora bambino al mestiere dello scolpire utensili in legno: cucchiai, mestoli, ciotole, forchette.
Mauro Corona dimostrava fin da allora una creatività diversa dagli altri bambini, un istinto che lo portava a raffigurare su quegli utensili figure di animali o umane, spinto dalla misteriosa necessità di creare qualcosa di più che un semplice manufatto.
L'Inizio
L’incontro che cambiò la vita di Mauro Corona come scultore avvenne nel 1974, quando un signore di Sacile, Renato Gaiotti, passeggiando per le vie della vecchia Erto, notò delle statuette esposte dietro la finestra di una casa. Egli ne rimase così affascinato che bussò alla porta e comunicò a un incredulo Mauro di voler comprare tutte le opere esposte.
Mauro Corona aveva lasciato il lavoro come scalpellino alla cava del Monte Buscada per dedicarsi anima e corpo alla scultura e non poteva quasi credere a ciò che stava succedendo.
Tempo dopo Renato Gaiotti tornò in paese con una novità ancora più esaltante per il giovane Mauro Corona. Gli commissionò infatti la realizzazione un’intera Via Crucis da donare alla Chiesa di San Giovanni del Tempio, a Sacile.
Si trattava di quattordici pannelli in legno di cirmolo rappresentanti la passione di Cristo: la prima opera scultorea di Mauro Corona.
Mauro Corona, che fino a quel momento sopravviveva come boscaiolo e con lavoretti saltuari, si commosse incredulo per l’importanza che Renato Gaiotti gli conferiva con quella prestigiosa commessa. Quel giorno capì che poteva vivere della sua arte.
«Nei miei lavori non devo fare altro che togliere il legno.
Il tronco è già una scultura »
Il Linguaggio dei Tronchi
La grandezza di Mauro Corona è sentire in modo simbiotico il rapporto tra la sua anima e quella della Natura.
«Ogni albero ha un carattere, come noi uomini. Gli alberi possiedono un linguaggio, una personalità e ognuno di noi può provare simpatia ed essere affascinato da uno di essi, per motivi personali o riconducibili ad affinità caratteriali con la pianta» sostiene Mauro Corona.
Così ogni tronco viene visto dall’artista di Erto attraverso riflessioni scaturite durante tutta una vita trascorsa a contatto con la Natura. Mauro Corona dà voce agli alberi, ne svela segreti che ai più sono misteriosi o incomprensibili.
L’ulivo ad esempio è un albero che Mauro Corona definisce “serio”, che soffre in silenzio e cresce nutrendosi di un dolore antico. Per queste sue caratteristiche intravede negli ulivi figure di uomini e donne con le braccia protese che piangono di dolore. «Non si possono scolpire figure allegre con l’ulivo, ma piuttosto torsi, crocifissi, figure tormentate dal dolore».
Ogni tronco d’albero viene utilizzato in base alle peculiarità che l’uomo dei boschi di Erto vede e riconosce in essi. Prima di iniziare un’opera scultorea, infatti, Mauro Corona si preoccupa di scegliere il legno adatto.
Mauro Corona ama spesso ripetere che il comune denominatore è l’operazione del togliere: nella scrittura bisogna togliere parole, nella scultura legno, nell’arrampicata movimenti e nella vita il superfluo.
«Considero le trasformazioni naturali del legno una parte attiva delle mie opere, un intervento che le modifica aggiungendo suggestione e valore. Ciò che mi interessa non è l’opera, o il prodotto in sé, ma l’atto, l’energia e la forza che hanno portato alla luce volumi e idee».
«Non ho una coerenza di stile e neppure la cerco. C’è chi mi definisce uno scultore, uno scalatore, uno scrittore. Ma io mi sento semplicemente me stesso, perché rinasco ogni mattina. Oggi mi va di scolpire, domani di scalare. Non importa la definizione, è solo una delle tante espressioni del mio sentire».
«C’è chi mi definisce uno scultore, uno scalatore, uno scrittore. Ma io mi sento semplicemente me stesso perché rinasco ogni mattina»
Studio, 1979 Augusto Murer scolpisce L’Arlecchino, opera in permanenza al museo Ermitage di San Pietroburgo, Russia. Per gentile concessione del Museo Murer
L'Arte del Legno
Dopo quelli del nonno Felice, sono stati i preziosi insegnamenti del grande artista di Falcade Augusto Murer a far crescere e maturare Mauro Corona dal punto di vista tecnico, ampliando le sue capacità espressive.
Mauro Corona frequenta infatti il suo studio a Falcade per dieci anni, dal 1975 al 1985 (data di morte di Augusto Murer). Partiva a piedi da Erto e, in autostop o con mezzi di fortuna, raggiugeva Falcade.
«Sapevo quando partivo ma non avevo idea di quando sarei arrivato. Augusto Murer mi accoglieva sempre. Col tempo siamo diventati grandi amici. Lo ammiravo, era un artista completo e lavorava il legno come nessun’altro. Era un virtuoso incredibile, un poeta della scultura. Il maestro non camminava bene, era nato con dei problemi alle gambe. Una volta gli confessai la mia grande ammirazione per la sua bravura e per quello che sapeva fare. “Tu puoi diventare bravo quanto me, applicandoti e studiando. Io invece non potrò mai correre come fai tu”. Le sue parole mi spiazzarono. Ancora oggi le ricordo come una lezione di umiltà e schiettezza, qualità rare. Era grande non solo come artista, ma come persona».
Da Murer Mauro Corona impara a non temere il tronco ancora grezzo. «Occorre fare amicizia con il legno, chiedergli della sua vita; solo dopo queste operazioni lo scultore sa cosa fare» Augusto ripeteva al giovane, impaziente allievo. Un altro consiglio suggeritogli dal maestro è quello di disegnare molto, ma Mauro Corona non lo seguirà alla lettera perché preferisce l’atto artistico immediato senza studi preliminari.
Mauro Corona è particolarmente affezionato al ricordo del primo incontro con Augusto Murer, nello studio di Falcade:
«Augusto Murer mi squadrò fissandomi come uno dei suoi tronchi. Mi disse che, se volevo fare lo scultore, prima dovevo disegnare. Mi diede quindi una matita e un foglio. Iniziai a disegnare. Augusto mi osservò poi, scuotendo la testa, fermò il mio lavoro togliendomi la matita dalla mano. “Prima di disegnare, devi affilare la punta! Ogni bravo artista si prende cura dei suoi strumenti, ricordalo sempre”».
Mauro Corona non a caso si dedica all’affilatura delle sue sgorbie (utensili formati da una lama di varie fogge applicate a un manico che ne consente l’utilizzo) in modo maniacale. Ne possiede centinaia di infinite forme e misure. Larghe per sbozzare il tronco ancora intatto, piatte per definire i piani, sottili per i dettagli.
«Il legno non è come il marmo, viene via a scaglie, perciò tirare fuori volumi è difficile. Inoltre il tronco è cilindrico e questo è una sfida già in partenza. Con le sei facce piane di un parallelepipedo squadrato (come i blocchi di marmo preparati) l’operazione di abbozzo è più semplice. Ad ogni modo ho centinaia, sono un collezionista maniacale di sgorbie, ma ne basterebbero dieci, di quelle giuste».
Mauro Corona, artista istintivo, per cercare di fermare l’atto creativo il più velocemente possibile fa largo uso anche della motosega. L’attrezzo, che maneggia con grande padronanza grazie al suo passato da boscaiolo, gli permette di vedere attraverso il legno con pochi, meditati gesti.
«Ho sempre invidiato la pazienza e bravura del grande scultore Franco Fiabane di Belluno. L’ho visto attaccare tronchi mastodontici con una sgorbia minuscola. “La motosega non ha occhi” mi diceva sempre Franco, quando mi vedeva sbozzare tronchi con quell’arnese. Lo so, è un marchingegno pericoloso se non stai attento, ma non riesco a non usarlo, ho bisogno di vedere le forme in fretta, il più presto possibile».
Una volta abbozzati i piani principali della figura, Mauro Corona passa a rifinirne i volumi e dettagli con le sgorbie. Ottiene così un’opera quasi completa. Questa, solitamente, viene prima raschiata con delle raspe da legno che amalgamano i segni delle sgorbie e poi levigata con della carta vetro di varie graniture: grossa per le prime lucidate, sottile per quelle finali.
NOTA: PER VISITARE IL MUSEO MURER VAI AL SITO www.museomurer.it
«Un essere umano agisce in un certo modo perché è figlio del luogo in cui è nato, di ciò che gli è accaduto nella vita»
Da sinistra: Pensatore, 1993; Torso maschile, 1995, Torso maschile, 1988
La Poetica
Fin dagli esordi Mauro Corona si pone come obbiettivo la resa figurativa delle membra e dell’anatomia del corpo umano prendendo come fonte d’ispirazione primaria le opere del grande artista rinascimentale Michelangelo Buonarroti. Scolpisce figure possenti, che hanno una forza fisica e muscolare fortemente calcata nelle muscolature. Vigorose e cesellate, mostrano torsi contorti e aitanti.
Il dolore è stato da sempre uno dei temi principali di Mauro Corona da rendere in forme e volumi. Nelle prime opere infatti ricorre spesso il tema della pietà, della Vergine Maddalena che tiene fra le braccia un Cristo morente. Modelli, archetipi di tematiche future, centrali nella carriera di Mauro Corona scultore: la maternità, la donna, il Cristo, torsi virili e femminili.
Da sinistra: Donna, 1976; Torso di donna, 1992; Attesa, 1995
Si affiancano inoltre altri temi cari a Mauro Corona: quelle che lui definisce “ballerine” o “donne dolomitiche”, ovvero figure femminili dai tratti delicati e dalle linee morbide.
«I corpi maschili rappresentano la forza fisica dell’uomo che sopravvive alla Natura, come due pugili nel ring, ma la donna è la forza vera, la forza generativa di vita.»
La figura femminile si trova al centro del suo percorso artistico e Mauro Corona la raffigura attraverso una potente carnalità: curve sinuose, seni grandi, morbide membra levigate senza angoli acuti dove la luce può scorrere senza interruzioni.
Il tema a cui è più legato è quello della maternità. Mauro Corona raffigura la madre che tiene in grembo il suo bambino sempre con un velo di tristezza e nostalgia. Sembra che voglia comunicarci la paura dell’abbandono, l’eventuale perdita della figura materna e il dolore che ne consegue; emozioni che lui ha provato in prima persona e che hanno segnato tutta la sua vita. Queste sculture comunicano il bisogno estremo dell’amore materno.
Mauro Corona raffigura ciò che non ha mai avuto: la mamma. Una mamma che non è stata mai presente per lui e che lo ha abbandonato all’età di soli sei anni, lasciando lui e i suoi fratelli con i nonni, il padre e una zia sordomuta.
Le sculture di Mauro Corona sono il riflesso dell’ambiente in cui è nato e cresciuto; basta guardare i soggetti per capirlo. «Un essere umano agisce in un certo modo perché è figlio del luogo in cui è nato, di ciò che gli è accaduto nella vita».
Così troviamo madri e bambini dai volti tristi, ritratti dai quali traspare un forte senso di sofferenza, riconducibile all’esperienza personale diretta di Mauro Corona e alla tragedia del Vajont che ha spazzato via per sempre vite umane e un’intera comunità.
Da sinistra: Maternità, 1975; Maternità, 1991, Madonna con bambino, 1993. La maternità al centro della foto rappresenta la particolarissima sintesi a cui l’artista è giunto in questo tipo di raffigurazione, raccogliendo mamma e bambino in unico abbraccio “come scolpiti dal vento”
Pannelli della Via Crucis di Sacile
Fra le opere di Mauro Corona si trovano anche temi più leggeri come folletti dei boschi, gufi e civette. Rappresentano i ricordi del passato e le voci dei boschi e delle montagne. Questi soggetti vengono sviluppati in piccole dimensioni, a volte a coronare l’impugnatura di bastoni da passeggio, altre per decorare sculturine, portamatite o librerie, sempre realizzati con grande personalità e cura dei dettagli.
Civette, gufi e folletti inoltre rappresentano simpaticamente il “simbolo” dell’artista che, spesso, si ritrae (su carta e su legno) in forma di folletto dei boschi o come autoritratto che chiacchiera con una civetta o un gufo.
Da sinistra: Autoritratto in un giorno buio, 1988;
Autoritratto con civetta, 2000