VAJONT: QUELLI DEL DOPO
Fu un colpo di falce. Il 9 ottobre 1963, alle 22:45 duemila persone e un intero paese furono cancellati per sempre. Gli anni trascorrono ma il ricordo dei morti è ancora sospeso sulla valle. Anche se i fatti di quella terribile notte diventano sempre più lontani, quel passato resta inciso sulla pelle di chi l’ha vissuto. Come Mauro Corona, lo scrittore-alpinista di Erto e come i personaggi di questo scritto sospeso fra denuncia sociale e narrativa contemporanea.
All’Osteria del Gallo Cedrone sei uomini si ritrovano a discutere, tra un bicchiere e l’altro, sulle responsabilità della tragedia, sul dopo Vajont, su chi ha guadagnato e chi ha preso.
Dalle loro parole ruvide e appassionate emergono accuse fuori dai denti, notizie, fatti di cronaca. Ma, soprattutto, emerge l’inconsolabile dolore, ma mai vinto, di un popolo ormai spezzato.
Dal libro:
“Non esiste più niente della vita di un tempo. Tutte le civiltà scomparse sono state cancellate in qualche anno. La nostra in due minuti. Ci siamo ritrovati il giorno dopo a partire da zero, in altri luoghi, in altri modi, con altri tempi, usando cose che non conoscevamo. È stato come nascere un’altra volta. Nascere vecchi è come vivere morti. Non ci si adatta a ciò che non si conosce”.
“È vero, Rachele lanciò l’allarme quando vide manovre notturne. Allora ci mobilitammo tutti. Armati di bastoni e rancore, bloccammo il camion già quasi carico. Per una settimana giorno e notte a fare la guardia, con i fuochi accesi nella strada”.
“I nostri, morti non hanno tomba, sono spariti, come se non fossero nemmeno esistiti”.