QUATTRO STAGIONI PER VIVERE
“Il tempo antico rivive in una storia moderna tra ecologia e ricordi personali, aspettando lo scacco finale” – Mauro Corona
Ancora una volta Mauro Corona ci porta per mano nel suo mondo, dove la montagna è richiamo e protagonista. Una montagna che avvolge la storia e trascina con sé i personaggi in un racconto epico e fiero.
Per sostentare la madre malata, Osvaldo ha bisogno di carne, e parte a caccia di camosci. Si prepara a passare parecchio tempo nel freddo del bosco, quando si imbatte in quello che sembra un enorme colpo di fortuna. Un camoscio appena ucciso, e sepolto nella neve dai cacciatori, che verranno a riprenderselo. Osvaldo cede alla tentazione, e prende il camoscio. Non ci vorrà molto perché i legittimi proprietari, i gemelli Legnole, due brutte persone, di corpo e di anima, e per di più stupide, vengano a sapere chi ha rubato il loro camoscio. E decidono che il colpevole dovrà pagare con la morte.
Inizia così per Osvaldo un anno di vita in mezzo ai boschi e alle montagne, tra agguati, pedinamenti, rischi mortali, in fuga dalla ottusa follia dei gemelli, fino al sorprendente finale.
Mauro Corona, ispiratissimo, ci regala un romanzo travolgente, ricco di colpi di scena, e animato da personaggi tanto realistici quanto archetipici. Attraverso la fuga di Osvaldo, Corona racconta lo scorrere delle stagioni, costruisce un romanzo di colori (il bianco della neve, il rosso dell’autunno, il giallo dell’estate) e riflette sul potere salvifico della Natura: Osvaldo, anche se in fuga, anche se braccato, anche se affamato, sarà felice in mezzo ai suoi boschi.
Dal libro:
“Camminavo a testa bassa per non vedere la distanza. È un trucco personale sviluppato negli anni. Aiuta a non pensare alla meta, ma a superare il terreno sotto i piedi passo dopo passo”.
“Anche se tutto fosse finito nel migliore dei modi, non ero convinto che sarei tornato a casa. Solo l’idea mi avviliva. Mi sarebbe piaciuto tornare nei boschi. Certo, non tutto l’anno, ma parecchio sì”.
“Solo una presenza non lo allarmava ed era quando veniva il gufo reale a cercarmi. Ovunque andavamo noi, arrivava con le sue ali di silenzio. Aspettava e ascoltava. Su un ramo, sulla punta di un albero, su una roccia affiorante, stava fermo. Impassibile come fosse imbalsamato. Solo a lui Papo non ringhiava”.
“Per vivere appieno occorre sentire la morte addosso. Allora non si spreca tempo. Passai la prima notte nell’altro completamente sveglio. Tenevo d’occhio il fuoco che non morisse. Mi tolsi dal sacco a pelo per fare una cuccuma di caffè”.