L’ULTIMO SORSO VITA DI CELIO
Rocciatore, taglialegna, scalpellino, minatore, apicoltore: chi è Celio? «Un niente » risponde lui, un semplice signor nessuno di un paesino sulle Alpi che è terra di nascita dell’autore. È lui a far rivivere Celio, a strapparlo all’oblio per renderlo personaggio vero, sfuggente, pulsante di idiosincrasie e contraddizioni. Insofferente alle persone fino alla misantropia, il protagonista si rifugia in se stesso, nell’ermeticità del dialetto misto tra ladino e friulano e nell’abbraccio ambiguo dell’alcol, che lo stringerà per tutta la vita, fino al delirio e alla morte.
In Celio, conosciuto durante la problematica infanzia e quarant’anni più vecchio di lui, l’autore troverà un inaspettato mentore, una protezione dalle violenze perpetrate dal padre, una via d’accesso privilegiata ai misteri e alla saggezza della Natura, rivelatasi solamente per lui. Nel racconto, Mauro Corona si riscopre bambino, mettendo nero su bianco le parole – sempre misurate, mai lasciate al caso – dell’anziano amico e compagno di bevute, alla ricerca delle radici di un male di vivere sempre scacciato e mai sopito, nel duro e apparentemente impenetrabile cuore da montanaro.
Una scrittura aspra, nervosa e autentica al pari del protagonista di questo romanzo, dietro le cui vicissitudini si legge in controluce l’autobiografia dell’autore, vero alter ego di Celio e solo testimone di un’esistenza che si fa simbolo di una terra sospesa nel tempo, in cui la solitudine, portata su di sé come una croce, sembra l’unico rimedio al contagio della miseria e del dolore. Le uniche leggi e autorità riconosciute sono quelle della Natura, al contempo madre e matrigna. Come il vecchio accendino a benzina, ereditato dal maestro, l’allievo tiene viva la fiamma del ricordo e fa luce sul potere dell’amicizia, rara e inafferrabile ma capace di farsi salvifica nell’ostilità e nell’indifferenza del mondo.
TRADUZIONE: in olandese.
Dal libro:
“Nel cuore di Celio non entrava nessuno. Era uno che si bastava, non accettava ombra che non fosse la sua”.
“Verso la fine si emozionava per le minime cose. Vedeva una ragnatela con la rugiada e si fermava rapito. «Guarda guarda» diceva. Rimaneva a fissarla estasiato come se non ne avesse mai viste”.
“« Ricordati fin che vivi che devi tirare tu, non farti trascinare. Devi essere camion, no rimorchio. Sulla roccia e nella vita. Se ti fai trascinare ti consumano». Da allora, senza arroganza ma con fermezza, ho imparato a decidere quello che voglio o non voglio fare”.
“«Al contrario di quel che si pensa, il tempo non allontana le cose. Le avvicina. È un binocolo che fa vedere chiaro. Da giovani non si ha quello strumento. Te lo regalano esperienze e rimorsi. Ma solo quando sei vecchio»”.