Cani, Camosci, cuculi (e un corvo)

CANI, CAMOSCI, CUCULI (E UN CORVO)

È delizioso ascoltare il canto del cuculo che annuncia il ritorno della primavera. Ma se il cuculo facesse sentire il suo richiamo d’inverno? Allora gli uomini dei boschi sbircerebbero di sottecchi tutto e tutti, mentre i loro cani vegliano inquieti, in attesa del peggio. Perché gli animali conoscono meglio dell’essere umano il mistero della vita e della morte.

Il lettore non troverà tuttavia in questo libro, che per situazioni e atmosfere è da annoverare tra i più caratteristici di Mauro Corona, nessun momento idilliaco, fiabesco, nessun apologo in cui il rapporto tra l’essere umano e l’animale risponda alla logica scontata cui ci hanno abituato tante narrazioni esemplari.

La relazione tra l’essere umano e le bestie qui è dura, scontrosa, fatta di incomprensioni, quando non di vere e proprie crudeltà. Gli uomini cacciano i camosci e ne mangiano il fegato, sparano ai galli forcelli, maltrattano i cani.
Quando la vita è dura per tutti, la spietatezza, la mancanza di indulgenze e di tenerezze sono la norma. Eppure, proprio per questo, gli attimi in cui si manifesta un’amicizia rimasta per anni senza parole e senza espressione o quelli in cui il dolore per la perdita di un cane amico fa conoscere all’uomo la commovente profondità di un intimo legame, raggiungono un’intensità sublime.

L’aria che circola in queste pagine di Mauro Corona si fa fine, a volte dolce, a volte tagliente. Un semplice sguardo dice più di tante parole. Racconti fatti di gesti e di silenzi, storie tramandate da generazioni che, come sempre in Corona, ritornano circolarmente e, di nuovo e per sempre, affascinano, tra verità e leggenda.

Dal libro:

“Una ragazza di nome Martina a novembre trovò un panciuto Terranova, liscio come il velluto, accucciato sulla curva sotto la casa alpina. Stava sul bordo del prato, le zampe in avanti e il muso rasente l’erba secca dell’autunno. Nessuno aveva il coraggio di avvicinarlo. Ringhiava riottoso e guardava storto. Ma non si muoveva di un millimetro. Erano il dolore, la malinconia e la disperazione per esser stato scaricato da coloro cui voleva bene a irrigidirlo”.

“I gracchi sono socievoli, fanno presto amicizia con gli uomini, però bisogna andare a trovarli nel loro ambiente. Ogni volta che vado a scalare il Campanile di Val Montanaia porto con me alcune pagnotte rafferme. Sulla vetta del missile di pietra alto trecento metri mi siedo e aspetto i gracchi”.

“La montagna è bella quando sopra di lei splende sereno il cielo. Anche se fa freddo col sereno la montagna comunica un senso d’affetto, è un’amica, una bella amica fidata. Con il sereno si può vedere lontano: lo sguardo spazia, gira, cerca e viene gratificato. Ma quando la montagna mette il cappotto di nebbia e una pioviggine come pulviscolo inumidisce la terra e il silenzio dell’autunno fa pensare al tempo che passa, una tristezza infinita avvolge l’ospite dei monti. È come se quella nebbia entrasse nel suo cuore e nella testa a cancellare i pensieri positivi, l’entusiasmo, la voglia di vivere”.

Pubblicazione

2007

Casa Editrice

Ed. Mondadori

Pagine

328

Note

PREMIO ITAS 2008 DEL LIBRO DI MONTAGNA "CARDO D'ARGENTO"
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